domenica 13 maggio 2018

Walter Siti – Troppi paradisi



Chi la scatterà la fotografia?”

Così cantava Raf alla fine degli anni ’80. Già, la fotografia. Quella degli anni ’80 ma anche degli anni ’90. Gli anni della televisione, di Sua Emittenza, dell’effimero, del rampantismo… gli anni di plastica e della Milano da bere, trascorsi a ballare sulla tolda del Titanic senza curarsi dell’iceberg in arrivo.
Quella fotografia l’ha scattata Walter Siti e per essere precisi si tratta di un selfie. Troppo comodo mettersi dall’altra parte dell’obiettivo, sport troppo praticato quello del sottrarsi alle responsabilità perché sono altri che hanno detto, fatto… Siti ci mette la faccia ed è impietoso anche verso se stesso. Attenzione però: la fotografia è solo la facciata, la superficie sotto la quale c’è il lavoro dello scrittore. Siti non si accontenta di descrivere un fenomeno, ma lo analizza con un’attenzione e un’intelligenza che mi hanno fatto pensare, mutatis mutandis, a certe pagine di David Foster Wallace.
Un’intelligenza della quale lo scrittore è consapevole ma che confessa fin da subito gli serve solo per evadere. Il protagonista della storia infatti si definisce “campione di mediocrità”, un uomo animato non tanto dalla pretesa di cambiare il mondo quanto da quella di passarci attraverso con il minimo dei danni. Un uomo sereno e mediocre, che considera la serenità una specie di equilibrio che gli permette di allontanarsi dal dolore del passato e la mediocrità una forma di “impermeabilità alla disperazione e al rischio”, lo scegliere sempre la strada più facile.
È la televisione uno dei motori narrativi del romanzo, televisione che il protagonista considera il suo “centro di calore, la distributrice di emozioni”, televisione che non chiede niente allo spettatore e dalla quale lui può prendere quello che vuole. Evasione, comodo rifugio, droga legale e apparentemente innocua, “surrogato inoffensivo della realtà”, artefice di un mondo rassicurante, di una “realtà depotenziata” (ma forse sarebbe meglio dire mistificata), priva di picchi emotivi ma che mescolando vita e anti-vita finisce per confonderle tramite una sorta di “pantografatura dei sentimenti”. La televisione rappresenta emozioni e stereotipi, tutto quello che mostra deve essere evidente e di facile accesso e lo spettatore deve adattarsi ai modelli proposti.
Dalla descrizione all’analisi: secondo il protagonista del romanzo la televisione è il mezzo utilizzato dall’Occidente  per costruire una nuova forma di religione che pone al centro il consumismo, spostando il paradiso in terra e conferendo alla merce il ruolo di surrogato di felicità. Anche l’Arte è stata travolta da questo ciclone e ha dovuto abdicare al suo ruolo di strumento per trascendere la realtà, finendo ingabbiata, ridotta in cattività: poco a poco tutto è stato trasformato in immagini così che ora anche nel campo del pensiero si maneggiano immagini di idee invece che idee vere e proprie. È la televisione (di nuovo) che traccia la rotta, regolando tempi e modi di questa distribuzione di immagini, proponendoci una realtà finta, edulcorata, manipolata, che finisce per soddisfarci ma che, abituandoci al procedimento per cui l’immagine è la realtà, ci trasforma in un mondo di spettatori e di consumatori, interessati solo al possesso probabilmente perché non più attratti dalla conoscenza.
Scenario desolante, nel quale non si capisce più cosa è vero e cosa falso, territorio in cui il protagonista del libro sceglie di muoversi con atteggiamento di distacco, convinto che l’ipocrisia che manifesta sia preferibile a un cinismo che sarebbe troppo impegnativo. Inutile combattere battaglie di retroguardia, più semplice riconoscere la sconfitta e ritirarsi nel privato limitandosi a una sopravvivenza dedicata al tentativo di appagare pulsioni e sentimenti e di tenere a freno quel ribollire di demoni e delitti che agitano il suo animo.
Pur non proponendosi a modello di nulla, forse è proprio quello privato l’ambito  nel quale l’autore suggerisce di organizzare ognuno la propria forma di resistenza, se è vero che quelli che il suo protagonista ci propone con (eccessiva?) dovizia di particolari sono amori eccessivi, malati, estremi è anche vero che sono reali, che muovono da un sentimento forte, sicuramente più veri dei modelli proposti dalla televisione.

Nessun commento: